Circola da molto tempo un meme, in cui un selezionatore chiede al candidato perché vorrebbe lavorare per la propria azienda, e il ragazzo risponde semplicemente che ha la passione del “non morire di fame”.  So bene che l’idea è ridicolizzare una delle domande considerate (erroneamente) più banali durante un colloquio, eppure ho sempre trovato triste questo meme: è davvero questo che ci spinge a cercare un lavoro piuttosto che un altro?

 

Il 10 ottobre è stata la Giornata Internazionale della Salute Mentale, e per l’occasione la società italiana di consulenza psicologica Mindwork ha diffuso alcuni dati circa il benessere psicologico dei lavoratori in Italia:

 

  • L’ 85% delle persone considera il proprio benessere psicologico correlato con quello lavorativo
  • Quasi il 50% dei lavoratori e delle lavoratrici riferisce problemi di ansia causati da problemi sul posto di lavoro
  • Il 40% degli intervistati, tuttavia, afferma di non voler parlare dei propri problemi psicologici sul luogo di lavoro
  • Il 49% dei lavoratori under 34 intervistati si è dimesso per tutelare la propria salute mentale – tendenza in aumento rispetto il 2020
  • L’ 80% ha riferito di aver provato almeno un sintomo tipico del burnout, sindrome causata dallo stress lavorativo
  • Il 40% teme il rientro dallo smartworking per l’effetto che avrà sulla propria salute mentale, e il 20% preferirebbe cambiare lavoro piuttosto che tornare a lavorare esclusivamente in sede
  • Il 73% delle persone preferirebbe scegliere un’azienda attenta al benessere psicologico dei dipendenti.

 

Lo scopo è quello di dare un’idea del benessere psicologico delle lavoratrici e dei lavoratori italiani: i dati confermano, prima di tutto, quanto sia importante il benessere lavorativo e che impatto abbia sulla nostra salute psicologica in generale.

 

Eppure, lo stigma che investe il disagio mentale è ancora forte nei contesti lavorativi: per molti lavoratori sarebbe più facile ammettere di avere una malattia fisica invalidante, piuttosto che parlare di un disturbo psichico. Si teme il giudizio dei colleghi, i pettegolezzi, l’opinione del capo, ma soprattutto le inevitabili ripercussioni: “se non sta bene con la testa, è da considerare affidabile?”. I problemi di salute fisica e psicologica hanno pari dignità, punto, ed è ora che introiettiamo e facciamo nostra questa semplice consapevolezza.

 

La percentuale di giovani che abbandonano il posto di lavoro per tutelarsi è preoccupante; questa fascia d’età è più esposta ai rischi di un contesto lavorativo stressante, o più semplicemente sono più propensi a cambiare rispetto un lavoratore avanti con l’età? In entrambi i casi, il dato è lievitato a causa della pandemia, e non ci resta che aspettare e vedere se aumenterà ulteriormente.

 

Altro dato preoccupante è la percentuale di persone che hanno sviluppato almeno un sintomo di burnout nella loro vita lavorativa: tra i sintomi ricordiamo esserci insonnia, difficoltà relazionali, demotivazione, disturbi gastrointestinali, mal di testa… per caso sentite di rientrare nella casistica? Non siete decisamente i soli.

 

Il numero di lavoratori, poi, che teme il rientro dallo smartworking a tal punto da voler cambiare lavoro dovrebbe far riflettere: abbiamo adattato la nostra vita a questa situazione di emergenza, abbiamo fatto i conti con la paura per la nostra incolumità, e con i disagi causati da aziende impreparate ad adattarsi al lavoro agile. Eppure, visti i dati forniti dall’Osservatorio sullo Smartworking, questa modalità di lavoro piace e funziona. Le problematiche gestionali e organizzative sono spesso legate a mancanze pregresse, e non all’Agile Working in sé; dunque perché sottoporre i propri dipendenti a questa fonte di stress? Perché non provare con modalità miste, lasciando che sia il lavoratore a scegliere l’opzione a lui più congeniale?

 

Infine, il dato relativo ai lavoratori che, potendo, sceglierebbero un’azienda più interessata al benessere psicologico dei propri dipendenti, chiude il cerchio: no, non si tratta solo di “non morire di fame”. Ogni lavoratore o lavoratrice dovrebbe poter lavorare in un ambiente sereno, protettivo, accettato e accolto per ciò che è, una persona con un bagaglio emotivo e personale. C’è molto di più dello stipendio e della performance, e i dati lo confermano.

 

Dalila Polico

HR Specialist